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Appiano
A seguire, 2 trailer di presentazione del fumetto con musiche composte ed eseguite da James Fantauzzi
Una recensione dell’avezzanese Gaetano Lolli

Articolo di Marsicalive sul fumetto La Guerra Dei Marsi scritto da Francesco Proia. Per leggerlo clicca qui.
La critica cinematografica romana Emanuela Di Matteo ha onorato l’opera con una profonda e toccante prefazione e qui è esposta una sua recensione, altrettanto degna di essere letta…
La pagina Facebook del fumetto La Guerra dei Marsi https://www.facebook.com/Jafanta/
SILONE CONDOTTIERO DEI MARSI

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La monetizzazione della Guerra Sociale
Il museo parigino “Cabinet des médailles, monnaies et antiques” è in possesso di alcune monete attinenti alla storia riproposta nel fumetto “La Guerra dei Marsi”. Per finanziare la rivolta contro Roma e per mettere in moto una cospicua campagna propagandistica, i Marsi e gli Italici coniarono nel 90 a. C. le prime monete in un villaggio che scelsero come loro capitale nella valle dei Peligni: Corfinio. La Confederazione Italica, capeggiata militarmente e politicamente dal marso Poppedio Silone e dal sannita Papio Mutilo, rappresentò quindi l’embrione dell’Italia come entità geopolitica, quella culla dalla quale si diffusero i primi vagiti di rabbia e di protesta di un popolo variegato ma sopraffatto e umiliato da secoli di discriminazione e/o oppressione romana. Il patto di alleanza tra Roma e gli Italici (foedus) portò innegabili vantaggi e benefici solo alla prima (e a quei pochi Italici che costituivano la classe dirigente ed economica di quei popoli) pertanto, in questa fase poteva definirsi superato. Con lo scoppio della Guerra Sociale, quel sentimento di orgoglio identitario italico venne immortalato attraverso i suoi simboli e i suoi atti cultuali anche su tali monete. Desta curiosità e interesse l’unica copia esistente nel museo prima citato di una moneta dove sul verso abbiamo la rappresentazione del giuramento degli 8 capi Italici con le spade puntate sul maialino (o scrofa) sorretto dal capo del collegio dei Feciali che pregava gli dei affinché chiunque non mostrasse fedeltà alla causa bellica avrebbe dovuto fare la stessa fine del povero animale (per la Sordi, le spade sono puntate invece sul personaggio centrale che rappresenta un italico che ha tradito la “rivoluzione” anti-romana e che verrà pertanto giustiziato). Sotto la scena appena descritta, è riportato il nome del comandante dei Marsi: Quinto Poppedio Silone. Sul dritto della moneta abbiamo invece per la prima volta nella storia la parola Italia associata ad un volto femminile che ne rappresenta la sua personificazione. Per il Campana, tale figura non assume un significato militare bensì fideistico legato alla scena del giuramento. Vi sono altre monete simili nel museo transalpino, con scritte latine (come “Italia”) o in osco (Viteliu) ma quelle raffiguranti il giuramento vengono associate al nome del sannita Mutilo; in alcune vi sono incise delle figure allegoriche mentre in altre ancora viene rappresentato il toro sannitico che schiaccia la lupa romana (per approfondimenti consiglio i testi di Alberto Campana). Nella foto, sulla destra la famosa moneta con scritta latina “Italia” e “Q. Silo” mentre a sinistra un dettaglio di una tavola del graphic novel La Guerra dei Marsi.

SILONE E L’ITALIA
Quinto Poppedio Silone, condottiero dei Marsi, bacia la personificazione dell’Italia. Allo scoppio della Guerra Sociale nel 91 a C., gli Italici, o Socii, si riunirono a Corfinio nella valle dei Peligni per dare ufficialmente corpo ad un concetto presente anche secoli prima nella penisola ma che assumerà definitivamente una forte valenza geopolitica da quel preciso momento: il marso Silone e il sannita Mutilo, capi della rivolta e degli Italici, divennero infatti le massime autorità di quella confederazione entrata nella storia con il nome “Italia”.

LA MORTE DI SILONE
Quinto Poppedio Silone viene ucciso in battaglia “presso il fiume Teanum” dalla “lupa romana” nell’anno 88 a.C.. Silone fu comandante dei Marsi e l’unico generale “italico” nell’ultima fase della Guerra Sociale contro la Repubblica Romana dopo le gravi ferite che hanno devastato l’altro capo dei ribelli, il sannita Papio Mutilo.
Tale località, Teanum, potrebbe corrispondere oggi all’attuale San Paolo di Civitate (in provincia di Foggia) ma non vi sono certezze come è incerto colui che tolse materialmente la vita al marso ribelle: si fanno i nomi di Mamerco Emilio Lepido Liviano, paradossalmente il fratello di un grande amico di Silone, quel tribuno della plebe Livio Druso che propose di concedere la cittadinanza agli stessi Italici, mentre lo storico del IV secolo dopo Cristo Paolo Orosio attribuisce la paternità dell’uccisione del marso a Sulpicio Galba.
Ebbe così fine la Guerra Sociale, detta anche Guerra Marsicana o Guerra Italica, durata circa 3 sanguinosi anni. Una guerra che gli Italici persero sul piano militare ma non certo sul piano politico visto che Roma, attraverso alcune leggi, concesse finalmente la tanto agognata cittadinanza romana a tutti i “Socii” presenti nella penisola già dopo circa un anno dall’inizio delle ostilità. Molti si arresero in cambio dell’ottenimento della cittadinanza dell’Urbe mentre Silone, Mutilo e tanti altri preferirono lottare fino alla morte.

PRESENTAZIONE GRAPHIC NOVEL
Si è svolta ieri sera alle 18, presso la Mondadori di Avezzano, la presentazione del fumetto La Guerra dei Marsi. Presenti l’autore, James Fantauzzi, i moderatori Francesco Proia (giornalista e scrittore) e Attilio Santellocco (ingegnere e grande esperto della storia dei Marsi).
Quinto Poppedio Silone

L’ANIMA DEL MOVIMENTO

L’ASSALTO AD ALBA FUCENS
Quinto Poppedio Silone in combattimento sotto il Monte Velino, provò ad espugnare senza successo la città romana di Alba Fucens durante la Guerra Sociale, nel territorio degli Equi.
Disegno realizzato con iPad e penna digitale novembre 2019
La conquista di Bovianum

“Pompedius Silo in oppido Bovianum, quod ceperat, triumphans invectus omen victoriae hostibus ostendit, quia triumphus in urbem victricem non victam, induci solet. Proximo proelio amisso exercitu occisus.”
Trad.
(Pompedio Silone entrò nella città di Boiano con una trionfale processione, dopo averla conquistata; tramite ciò egli mostrò un auspicio di vittoria ai suoi nemici perché era consuetudine entrare con una processione trionfale nella città vincitrice, non in quella vinta. Nella successiva battaglia, infatti, egli perse l’esercito e morì.)
Liber Prodigiorum, GIULIO OSSEQUENTE
Lo storico romano autore di questo testo, Giulio Ossequente, morì tra il terzo e il quarto secolo dopo Cristo. Di lui non si sa praticamente nulla e conosciamo solo quest’opera, il Libro dei Prodigi, nella quale illustra la storia di Roma (tratta dal lavoro monumentale di Tito Livio) evidenziando fatti ed avvenimenti bizzarri, surreali, paranormali, (statue che piangono, montagne che sanguinano, animali che parlano, spettri che interagiscono con uomini, ecc). Molto interessante questo passo in cui descrive la riconquista della città sannita di Boiano da parte del nostro Silone, dopo che il futuro dittatore romano Silla se ne impossessò l’anno precedente. Prendendo per veritiero questo episodio, perché il condottiero marso, diventato ormai l’unico generale degli Italici nella fase finale della Guerra Sociale, organizzò una processione solenne tra le mura della città nonostante avesse vinto il duro scontro cittadino contro i Romani? Una rassegnata accettazione psicologica della sconfitta militare che, malgrado la vittoria di Boiano, Silone aveva già messo in conto e che avverrà effettivamente di lì a breve presso l’imprecisato “fiume Teanum”? Un omaggio inconscio e/o indiretto a Roma, nonostante questa guerra nasca proprio per il rifiuto della prima di concedere diritti, la cittadinanza romana in primis, agli “inferiori” Italici? Quasi sicuramente non lo sapremo mai. (Illustrazione tratta da La Guerra dei Marsi).
Il rapporto tra Marsi e Roma
I Marsi vengono giustamente ricordati come tra i più fedeli alleati degli antichi Romani e quest’ultimi avevano ragione a temerli poiché conoscevano la loro innata natura di guerrieri feroci e valenti. Infatti, non sono poche le occasioni in cui Roma ebbe modo di “saggiare” a caro prezzo la fama di questo popolo di pescatori, contadini, pastori e instancabili combattenti che popolavano le terre e le montagne intorno al lago Fucino.
Nel 408 a. C. il tribuno consolare Gneo Cornelio Cosso condusse l’esercito romano contro gli Equi e i Volsci, alleati dei Marsi.
Tito Livio scrisse: “L‘esercito vincitore devastò il territorio dei Volsci ed espugnò una fortezza situata vicino al lago Fucino, dove furono catturati 3.000 nemici, mentre i Volsci superstiti, ricacciati all’interno delle mura, non poterono difendere le campagne.”
Nel 389 a. C., 19 anni dopo, il dittatore romano Marco Furio Camillo sconfisse i Volsci, gli Equi e gli Etruschi, che avevano assediato la città alleata di Sutri.
325 a. C.: I Marsi si coalizzarono con i Vestini, Marrucini e Peligni. Siamo nel pieno della II Guerra Sannitica. Roma inviò il generale console Decimo Giunio Bruto Sceva per ostacolare una possibile alleanza tra tale coalizione e i Sanniti. Fu una strage sia per i Romani che per gli Italici che dovettero però ritirarsi nei loro centri fortificati. I Marsi si alleano con i Sanniti e si scontrarono con le legioni di Quinto Fabio Massimo Rulliano.
Nel 304 a. C. gli Equi sono sconfitti dai Romani e subito dopo, Marsi, Marrucini, Frentani e Peligni chiedono e ottengono un’alleanza con Roma, lasciando solo i Sanniti che verranno annientati.
Fu nel 301 a. C. che i Marsi ruppero il patto di alleanza con Roma quando si opposero alla colonia di Carseoli (Carsoli) composta da 4000 romani. Il dittatore Marco Valerio Corvo respinse i Marsi nei loro confini e si impossessò di una buona parte del loro territorio come prezzo da pagare per rinnovare la loro alleanza. Alleanza che metteranno valorosamente in pratica ad esempio durante le guerre pirriche, rispetto agli altri Italici (280 – 275 a. C.) e nel 218 dove, insieme ai Marrucini, Frentani e Vestini, i Marsi partecipano a fianco di Roma alla II Guerra punica.
L’ultimo conflitto contro Roma si ebbe durante la guerra, oggetto del fumetto che questa pagina pubblicizza, denominata Sociale, Italica o Marsica, tra il 91 a. C. e l’anno 88 a. C.. Nonostante decenni e decenni di fedeltà nei confronti della Repubblica, quest’ultima negava sistematicamente la concessione della cittadinanza romana agli Italici con i quali vigeva un patto che procurava loro nessun vantaggio e quando verrà ucciso l’unico tribuno della plebe romano favorevole a tale concessione (Livio Druso), i Marsi e gli altri Italici, capeggiati dal marso Poppedio Silone e dal sannita Papio Mutilo, scatenano una ferocia guerra, tra le più sanguinose che Roma abbia mai dovuto affrontare. La guerra finirà con la vittoria militare di Roma ma con la vittoria politica e morale degli Italici poiché verrà assegnata la cittadinanza dell’Urbe a tutti i cittadini presenti nella penisola.
SILONE LIBERA GLI SCHIAVI

Nell’immaginario collettivo, il personaggio che più di tutti simbolizza l’eroe antico che libera gli schiavi dalle proprie catene (imposte da Roma) è sicuramente il gladiatore ribelle Spartaco. Durante le scorribande nelle ville romane, lui ed i suoi uomini liberavano infatti gli schiavi i quali erano liberi o meno di seguirlo in questa avventurosa e pericolosa impresa. Tuttavia, non tutti sanno che anche il nostro eroe italico e comandante marso dei ribelli nella Guerra Sociale contro i Romani, Poppedio Silone, attuò Lo stesso modus operandi nella fase finale del conflitto bellico con lo scopo principale di ingrossare il resto del suo esercito (decimato da perdite e diserzioni) e questo circa 17 anni prima delle gesta di Spartaco. Lo storico Diodoro Siculo (morto nel 27 a. C.) scrisse infatti nella sua monumentale « Bibliotheca historica »: « Egli (Poppedio Silone) radunò gli schiavi fatti da lui liberi (…) ».
Il ritorno di Silone

1400 volte GRAZIE!
Il fumetto La Guerra dei Marsi ottiene una straordinaria (e inaspettata) risposta editoriale da parte di appassionati che dovrebbe seriamente spingere accademici, storici, sociologi e artisti (quelli “veri”) ad interrogarsi sui motivi che hanno trasformato quest’opera (e i temi correlati su questa pagina) ad avere una buona risposta di pubblico, seppur “confinata” nell’area centrale della nostra penisola (principalmente Abruzzo, Lazio e Molise). Molto probabilmente (ma potrei anche sbagliare) un bisogno di identità che propende verso la ricerca della scoperta delle nostre radici e della nostra storia che non ha quasi nulla di “nazionale” bensì “locale”, “territoriale”, “regionale”. Nell’era della globalizzazione, nei suoi aspetti nefasti e positivi, diventa quasi inevitabile quel senso di smarrimento culturale e psicosociale che spinge milioni di persone in tutto il mondo, a prescindere quindi dall’area geografica, dall’estrazione sociale, dal proprio credo religioso e politico, a ricercare un appiglio, un’àncora di salvezza, un punto fermo, una base sicura dalle quale vivere (e molte volte subire) questi macroscopici processi di trasformazione sociale. Il nostro territorio non fa eccezione e in questo tsunami perturbatore, in quest’epoca di crisi economica, sociale e politica, sembra essere un antico spettro irrequieto ad aver ripreso le redini per costituirsi come riferimento culturale e territoriale di cui aver bisogno; paradossalmente, è un antico condottiero e storico figlio ”italico” a riprendersi la rivincita dopo la sconfitta militare contro Roma in un punto imprecisato del sud Italia 2108 anni or sono e a diventare quell’àncora di “salvezza” locale; un eroe dimenticato dalla Storia, il guerriero “marso” per antonomasia che sembra polarizzare l’attenzione di un numero crescente di persone, soprattutto fuori dai marmorei ambiti accademici. Quinto Poppedio Silone era il suo nome e grazie anche al vostro sostegno, alla vostra curiosità, alla vostra passione, alle vostre critiche, lo avete rispolverato, rafforzato; gli avete ridato quella giusta e meritata dignità dopo secoli di oblio. Grazie ancora di cuore e felice 2020 a tutti voi!
LA MARCIA SU ROMA DEI 10000 ITALICI

Non tutti sono a conoscenza di un fatto storico che, in realtà, solo Diodoro Siculo riporta nella sua ”Bibliotheca historica”. La Guerra Sociale non era ancora iniziata ma la tensione tra Italici e Roma era da anni drammaticamente tesa per via di una certa propensione “temporeggiante” da parte dell’Urbe, in relazione alla concessione della cittadinanza romana a tutto vantaggio dei primi. Se dovessimo considerare veritiero quanto riporta lo storico siceliota, potremmo solo immaginare quante notti insonni trascorse il comandante dei Marsi e futuro condottiero degli Italici Quinto Poppedio Silone, per pianificare un “blitz”, per programmare un colpo di mano che avrebbe finanche cambiato il corso della storia se messo in pratica con successo; nottate caratterizzate forse anche dalla preoccupazione per le terribili e nefaste conseguenze per sé, i suoi compagni d’avventura e per tutti gli Italici, in caso di fallimento dell’operazione. Fu così che egli prese la strada verso Roma insieme a 10000 uomini (“…su cui pendeva giudizio capitale”) con le spade nascoste sotto le tuniche. Lo scopo di questa “marcia” era quello di circondare il Senato e richiedere a gran voce il diritto alla cittadinanza; un eventuale rifiuto dell’assemblea senatoria avrebbe poi spinto gli Italici a mettere a ferro e fuoco la “Città Eterna”. Questi erano i piani. Sennonché, strada facendo, i “Socii” ribelli incrociano un certo Gaio Domizio che li persuade con calma a non utilizzare la forza poiché controproducente e inefficace ai fini del raggiungimento del loro obiettivo. Questo sconosciuto romano (per qualche storico potrebbe essere stato Gneo Domizio Enobarbo, censore nel 92 a. C.) suggerisce a Silone che il diritto alla cittadinanza l’avrebbero ottenuto più facilmente senza minacciare il Senato. A seguito di tale consiglio, Silone ordina ai suoi uomini di annullare l’operazione e di far ritorno alle proprie terre (Diodoro Siculo, Biblioteca Storica, 37, 13).
I VESTINI E I MARSI
I Vestini furono quelle popolazioni italiche stanziate nel territorio oggi compreso tra la Valle dell’Aterno (inclusa L’Aquila), Altopiano delle Rocche fino all’Adriatico. Condivisero, in secoli di storia con i Marsi, campagne belliche a fianco di Roma ma anche contro Roma, tra cui l’ultima e forse la più sanguinosa: la Guerra Sociale. Appiano riporta in maniera particolareggiata un’audace missione dei Vestini insieme ai bellicosi Marsi, capeggiati da Poppedio Silone, contro il generale romano Servilio Cepione. Silone finse di arrendersi ai romani consegnando loro i suoi figli (in realtà 2 giovani servi) e un carro carico di oro e argento (in realtà piombo verniciato con i metalli preziosi). Il condottiero marso invitò quindi Cepione e i suoi legionari a seguirlo in fretta, una scelta azzardata che sarà fatale per i Romani. Ad attenderli, infatti, Vestini e Marsi che riceveranno l’ordine di Silone di ammazzarli tutti. Sarà una strage. Cepione e molti Romani periranno mentre gli altri fuggiranno (e passeranno sotto il commando di Mario).
Tavola tratta dal fumetto “La Guerra dei Marsi” in cui Silone si congratula con un ufficiale vestino.
LA GUERRA MARSICA

Come la fiamma nelle steppe, così la ribellione si dilatò in tutta la penisola; prima di tutte porremmo la gloriosa ragguardevole popolazione dei Marsi colle piccole ma energiche federazioni negli Abruzzi: i Peligni, i Marrucini, i Frentani e i Vestini; il valoroso e grave Quinto Silone era l’anima di questo movimento. I Marsi furono i primi a staccarsi formalmente dai Romani, sì che si diede il nome di « Marsica » alla guerra che ne seguì.
Storia di Roma, Theodore Mommsen
SILONE CONDOTTIERO DEI MARSI
AD VICTORIAM
La Marsica e l’Abruzzo sono stati anch’essi colpiti da questo insidioso e temibile nemico il quale ha già mietuto le sue prime vittime. Gli abruzzesi hanno sempre subito nel corso della storia devastazioni, terremoti, bombardamenti, epidemie ma nessun cataclisma e nessuna catastrofe, naturale o bellica che fosse, è riuscita a piegare questo popolo umile, fiero, forte e gentile. Non ci riuscirà nemmeno il COVID-19. In questo momento, il resto non conta e assume giustamente una relativa importanza ma meritate lo stesso un simbolico ringraziamento per lo straordinario successo di questa pagina che oggi ha raggiunto ben 2000 like! Un ringraziamento artistico attraverso la vicinanza simbolica del protagonista indiscusso di questa pagina che riuscì a trasmettere forza e coraggio ad un popolo umiliato e sottomesso come furono gli Italici, in guerra contro la potente Roma più di 2000 anni fa. Un incoraggiamento che rivolge idealmente oggi a tutti noi.
ANGITIA

La battaglia finale

« Dipoi venuto successore nel comando delle milizie Cecilio Metello marciò tra Pugliesi (…) e prevalse. In questa (battaglia) perì Poppedio Silone, l’uno degli autori della ribellione e gli altri a mano a mano passarono al vincitore. E tali furon le gesta calorose della guerra sociale d’Italia fino a tanto che tutta l’Italia giunse alla cittadinanza romana (…). ».
Le Storie Romane di Appiano Alessandrino
Poppedio Silone, comandante capo degli italici, e il suo fidato ufficiale Obsidio perirono così presso il fiume Teanum (oggi in località San Paolo di Civitate nel foggiano, anche se i dubbi permangono circa l’esatta ubicazione dello scontro) nella battaglia finale contro Roma guidata da Mamerco Emilio Lepido (Sulpicio secondo lo storico Orosio). Per ironia della sorte (e sempre con il beneficio del dubbio storico) Mamerco fu fratello dell’amico di Poppedio Silone, quel nobile e giovane tribuno della plebe di nome Livio Druso intenzionato a legiferare a favore degli italici, pagando con la vita questa ed altre proposte.
QUINTO POPPEDIO SILONE: NEMICO PUBBLICO N.1
Quinto Poppedio Silone, comandante militare dei Marsi, guidò la rivolta contra Roma nel 91 a.C. (detta Guerra Sociale, Italica o Marsica) a seguito dell’uccisione, di matrice quasi sicuramente “politica “, del tribuno della plebe dell’Urbe Livio Druso, amico dello stesso Silone e favorevole alla concessione della cittadinanza romana a vantaggio dei Marsi e di tutti gli Italici presenti nella penisola. Gli Italici crearono quindi 2 federazioni (per ragioni linguistiche e culturali), operazione politica e logistico-militare che diede di fatto il via alla nascita geopolitica dell’Italia, in chiave anti-romana e con capitale in territorio peligno: Corfinium. Tali federazioni furono affidate ai consoli eletti all’inizio del Bellum Marsicum i quali furono Poppedio Silone per l’area settentrionale e il sannita Papio Mutilo per quella meridionale. Secondo Appiano, i popoli schierati contro Roma relativi all’area settentrionale, accomunati soprattutto dall’uso prevalente del latino, furono i seguenti:
Marsi
Peligni
Vestini
Marrucini
Picentini
Frentani
A seguire, la lista dei popoli meridionali, di lingua osca, che mossero guerra contro Roma e guidati militarmente dall’altro console, Papio Mutilo:
Irpini
Pompeiani
Venusini (non erano italici bensì latini ma parteciparono ugualmente al conflitto bellico con grande determinazione)
Iapigi
Lucani
Sanniti (valorosi guerrieri italici che continueranno le ostilità contro Roma anche dopo il termine della guerra in oggetto)
Il primo anno, le battaglie furono quasi tutte vinte dai ribelli. L’anno successivo, anche grazie all’approvazione di alcune leggi da parte del senato romano che comportò l’assegnazione del tanto agognato diritto alla cittadinanza ai popoli non belligeranti o che deponessero le armi, fatto che comportò una forte diserzione di massa tra i “rivoluzionari” in lotta, Roma riuscì piano piano a domare la rivolta. Nell’ 88 a.C. Poppedio Silone rimase l’unico comandante italico alla guida di un esercito composto prevalentemente da lucani e sanniti e la sua morte in battaglia sancì la fine della guerra. Egli fu dunque, per un periodo di tempo, il nemico pubblico n.1 di Roma ma la sua morte lo assurse a simbolo di libertà poiché, pur avendo perso la guerra, il suo obiettivo fu raggiunto.
Presentazione fumetto presso Verrecchie (AQ)
18 luglio 2020
Meravigliosa giornata nel paradiso terrestre marsicano di Verrecchie per la presentazione del fumetto « La Guerra dei Marsi », presso l’antichissima chiesa, oggi non più adibita al culto, di Sant’Egidio. Un sentito grazie allo staff della locale pro loco.


QUINTO POPPEDIO SILONE

LA DEA ANGITIA
« Lady of none
Come and take away my soul
Come and save me from pain
Lay me down in your grave”
Tratto dal brano « Angitia » dei 3 + Dead
Disegno realizzato da J. F. , 2018
SPARTACO IL MIRMILLONE
Spartaco il mirmilloneNel suo “Compendio della storia romana”, il poeta e storico di origini africane Lucio Anneo Floro, morto a Roma nel 145, scriveva nel capitolo 20 (Bellum Spartacium): “tandem etiam totis imperii viribus contra mirmillonem consurgitur…”, “E si venne al punto in cui contro un mirmillone bisognò rivolgere tutte le forze dell’impero…”. Si parla ovviamente di Spartaco e della sua rivolta degli schiavi contro Roma, che lo storico, a suo dire, faceva fatica a descrivere per il disgusto che provava nei confronti della ribellione (anche se valorizzò il modo in cui il gladiatore ribelle perse la vita nella battaglia finale). Lo descrive nella sua opera come “mirmillone” ma chi erano costoro? Il mirmillone (in greco Myrmoros che significa pesce) rappresentava una categoria di gladiatori le cui caratteristiche erano le seguenti:- un grosso elmo, molto spesso decorato con figure mitologiche e marine;- un’unica ocrea, ovvero lo schiniere che proteggeva una gamba, anch’esso decorato;- un gladio non molto lungo per gli attacchi;- uno scutum, che era sostanzialmente un grande scudo pesante, ricurvo e rettangolare, simile a quello in dotazione ai legionari romani. Appartenevano a tale categoria i combattenti più possenti ed erano veri e propri carri armati in carne ed ossa i cui punti deboli erano sicuramente rappresentati dalla loro lentezza dei movimenti rispetto ai gladiatori più « leggeri » e i fianchi scoperti. Prima di organizzare la rivolta nella scuola gladiatoria di Capua (oggi Santa Maria Capua Vetere) di proprietà di Lentulo Batiato, Spartaco fu quindi un gladiatore ma non sappiamo se combatté nell’arena (nessuna fonte lo riporta) come non sappiamo se fosse realmente un mirmillone: molti storici moderni tendono ad attribuire la caratterizzazione fatta da Floro come sinonimo di “gladiatore” tout court.
J.F.
GLI ITALICI “D’ABRUZZO” DURANTE LA GUERRA SOCIALE
J.F.
Ercole e i Marsi
Euristeo, re di Argo, ordinò al semidio Ercole di neutralizzare un leone gigantesco che infestava la città greca di Nemea e dintorni e che viveva in una grotta. La pelle del felino era invulnerabile alle sue frecce e alla clava che ricavò da un ulivo. L’eroe mitologico, dopo alcuni tentativi, riuscì finalmente a porre fine alla sua vita, strangolandolo, e trasportò, in un clima di festa popolare, la carcassa dell’animale dal re che, incredulo, gli affidò un secondo compito: uccidere l’immortale Idra di Lerna. Alla fine dovette affrontare complessivamente 12 prove. Tuttavia, prima di proseguire nelle sue imprese, scuoiò il leone e utilizzò la sua pelle come un mantello protettivo dalle qualità quasi magiche.
E così verrà ricordato e venerato dai popoli del mediterraneo, compresi i popoli stanziati in Italia (Sardegna inclusa), dagli etruschi agli italici passando per i romani, in un periodo che va dal VI al I secolo a.C.: un culto diffuso e radicato, confermato dal ritrovamento di stele e statuette votive in terracotta, bronzo o marmo che raffigurano l’eroe della mitologia greca con la classica clava e la pelle di leone.
Importanti ritrovamenti sono stati effettuati ad esempio nella terra degli Equi, ad Alba Fucens, con la colossale statua in marmo di un Ercole a riposo, oggi conservata presso il Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo di Chieti e nello stesso museo è possibile vedere un Ercole in bronzo di pregevole fattura, ritrovata nel santuario di Ercole Curino a Sulmona. Importanti ritrovamenti legati al semidio greco sono stati fatti anche a Corfinio, sempre nel territorio degli antichi Peligni, conservati oggi nel museo civico locale. Oltre al santuario sulmonese, sono presenti ben 8 spazi sacri solo nella valle Peligna. Non a caso il grande linguista Giacomo Devoto parlava di “culto nazionale dei Peligni” in relazione al mitologico eroe.
Nel territorio marsicano sono state rinvenute diverse statue votive dedicate ad Ercole. Dalle statuette in terracotta ritrovate a Luco dei Marsi o quelle in bronzo recuperate a Trasacco e Lecce dei Marsi, solo per fare alcuni esempi. Ricordiamo che anche nella valle Roveto, oltre alla stele votiva ubicata a San Giovanni Vecchio (ne abbiamo già parlato qui: https://www.facebook.com/1280173415492926/posts/1632024920307772/), si registrano ritrovamenti di statuette in bronzo.
Ercole era il nume delle sorgenti, protettore dei pastori, viandanti, mercanti, delle abitazioni e dei guerrieri e questo spiega la grande devozione che godeva tra gli Italici, come i Marsi, popolo di guerrieri indomiti, ma anche di pescatori e pastori: le attività legate alla transumanza come la produzione di carne, latte e formaggi richiedevano la costante protezione del semidio. Inoltre, anche la presenza di antichi templi erculei nelle vicinanze di sorgenti e fontanili, come ad esempio quello di Fonte Coperta (Scanno, Aq), conferma la religiosa popolarità di cui godeva Ercole tra le tribù abruzzesi.
Un mito pagano che, secondo alcuni studiosi, verrà “recuperato” dal culto cristiano nella figura dell’arcangelo San Michele, messaggero di Dio e guerriero angelico che lotta contro il demonio: un recupero facilitato da alcune caratteristiche iconografiche e simboliche che accumuna entrambi i personaggi e che trova conferma anche dalla presenza di luoghi di culto dedicato al santo alato nelle antiche vie di comunicazione, grotte comprese, della transumanza tra Abruzzo e Puglia.

I Marsi e Marte
Marte, divinità romana corrispondente al dio greco Ares, fu molto venerato tra le popolazioni osco-umbre dalle quali si formarono i vari gruppi italici, tra cui i Marsi, popolazioni che si dislocarono in tutta la penisola molti secoli Avanti Cristo.
Secondo la mitologia romana, fu figlio di Giunone che, in base ad una tradizione riferita da Ovidio, l’aveva concepito senza il soccorso di Giove, ma grazie a un fiore magico procuratole da Flora. I Greci invece attribuiscono la paternità di Ares a Zeus. Giunone affiderà in seguito il figlio al dio Priapo che gli insegnerà l’arte della guerra.
Durante la primavera, spinti come vedremo da motivazioni religiose e demografiche, un gruppo di giovani si distaccava dalla propria comunità di appartenenza ubicata pressapoco nell’Italia centrale per cercare avventurosamente nuovi territori dove insediarsi per creare nuove colonie. Questi riti migratori avvenivano in nome del dio Mamerte, corrispondente per l’appunto al dio Marte (Mars in latino).
Più dettagliatamente, i giovani nati tra il 1° marzo e il 1° giugno (chiamati “sacrati” poiché protetti dalle divinità) dovevano essere “sacrificati” in nome di Marte ma il sacrificio non contemplava la loro uccisione rituale bensì, raggiunti l’età adulta, una loro forzata emigrazione affinché fondassero appunto nuove comunità (in compenso venivano uccisi gli animali nati in quel periodo). Tale rito era denominato notoriamente “vers sacrum” (Primavera Sacra). Il flusso migratorio avveniva ordinatamente, simulando gesti e canti di un “animale-guida” allo scopo di ricevere protezione, animale che diventava quindi parte di un rituale totemico e spirituale. Per i Sanniti, l’animale totemico di riferimento fu il toro, il picchio per i Piceni, il lupo per gli Irpini, Lucani e il popolo degli Hirpi-Sorani (da qui, probabilmente, l’origine del mito del lupo dell’antica Roma).
Marte rivestiva un ruolo religioso e simbolico importantissimo anche presso i Romani; era un po’ considerato il loro padre creatore: si riteneva infatti che fosse il genitore di Romolo, nato dalla vestale Rea Silvia. Il dio aveva visitato Rea Silvia mentre dormiva e insieme avevano concepito due gemelli, Romolo e Remo. Lo zio Amulio tentò di uccidere i neonati gettandoli nel Tevere, ma una lupa li salvò. Romolo, da adulto, fonderà la città di Roma dopo aver probabilmente ucciso il fratello. La lupa e il picchio, che avevano contribuito a salvare i due bambini, erano quindi animali sacri a Marte.
Marte rappresentava sostanzialmente il dio fondativo della cultura italica, inevitabilmente dio della primavera, della vegetazione, del tuono, della pioggia, della fertilità ma soprattutto dio della guerra, delle battaglie e dei duelli.
Forse (l’avverbio è d’obbligo ) si spiega in tal modo l’origine del nome “Marsi”: etnonimo derivante proprio dal dio in nome del quale un gruppo di giovani si staccava dalla popolazione sabellica originale durante una Primavera Sacra per occupare le terre intorno al lago Fucino, dopo aver attraversato la valle del Salto, fondando una comunità che lascerà importanti e indelebili tracce nella storia antica e nella mitologia italica.
La statuetta, ritrovata in zona, appartiene ad una famiglia residente nella valle Roveto la quale mi ha concesso l’onore di fotografarla presso la mia abitazione. Ho chiesto un parere ai professori Cesare Letta e Adriano La Regina i quali mi hanno confermato essere una statua di Marte, una produzione tipica delle aree appenniniche interne, tra Umbria e Sannio, a partire dal V – IV sec. a.C.. Oppure, seconda ipotesi, potrebbe rappresentare un’offerta votiva di un devoto, quasi sicuramente un guerriero marso, per qualche divinità (anche diversa da Marte).
Disegno raffigurante sotto Monte Velino effettuato con IPad e penna digitale.
Umbrone, il leggendario sacerdote guerriero e medico marso
L’Eneide, come tutti sanno, fu scritto dal poeta Virgilio circa due decadi avanti Cristo e narra le vicende legate all’odissea del mitologico condottiero troiano Enea, principe dei Dardani, il quale, fuggito dalla sua città finalmente occupata dopo un estenuante assedio decennale dagli ellenici Achei, approda alle coste del Lazio. La mitica Troia si trova nell’odierna Turchia e non tutti gli storici concordano sulla veridicità del racconto (accennato, tra l’altro, anche nell’Iliade di Omero) intriso di simbolismi archetipici e mitologici. L’antico enciclopedico Eratostene di Cirene fa risalire tuttavia la battaglia in una data oggi valutabile intorno al 1190 a. C.. Enea riesce quindi a fuggire con un pugno di uomini mentre la maggior parte dei Troiani morirà in seguito agli scontri cittadini contro i Greci, grazie all’astuzia proverbiale di Ulisse che, all’interno del famoso e mastodontico « cavallo » di legno, penetrò all’interno della città con i suoi compagni. Secondo Virgilio, Latino, re di Laurento, decide di dare in sposa ad Enea, da poco approdato in Italia, la propria figlia Lavinia, la quale era però destinata a Turno, re dei Rutuli. Quest’ultimo scatenerà quindi una guerra contro il semidio troiano ed il suo esercito. Il poeta romano narra che nel territorio dei Marsi, il re Archippo inviò in aiuto a Turno il sacerdote Umbrone, fortissimo guerriero con elmo cinto da ramo d’ulivo, che incantava i serpenti e curava con le erbe raccolte sui monti dei Marsi. La sua arte non poté tuttavia aiutarlo a guarire dalle ferite causate dalla spada troiana e alla fine, morì. In seguito perse la vita anche il re Turno che non riuscì a sconfiggere Enea a duello. Il troiano vittorioso sposerà quindi Lavinia e fonderà la città di Lavinium (oggi Pratica di mare) e, secondo la leggenda, dalla sua discendenza, dopo tante generazioni, nasceranno Romolo e Remo, fondatori di Roma e la gens Iulia (antenati di Giulio Cesare). Nel libro X dell’Eneide c’è un breve cenno sul marso Umbrone:« Rinfrancano le schiere Ceculo, prole di Vulcano,e Umbrone che viene dai monti dei Marsi. Di fronteil Dardanide imperversa. »Nel libro VII c’è l’unica descrizione approfondita, tra tutte le opere dell’antichità, del sacerdote guerriero e medico proveniente dal territorio dei Marsi:« Viene anche, sacerdote della gente marruvia,cinto sull’elmo da un ramo di fecondo olivo,mandato dal re Archippo, il fortissimo Umbrone,che soleva col canto e la mano infondere il sonnoalla razza delle vipere e alle idre dal velenoso respiro,e ammansiva l’ira e alleviava il morso con l’arte.Ma non poté medicare il colpo della punta dardania,e contro le ferite non gli valsero gli incantesimi che recanoil sonno, e le erbe cercate sui monti dei Marsi.Te il bosco di Angizia, te il Fucino dall’onda cristallina,te piansero i limpidi laghi. »
Disegno di J.F.
